giovedì 12 novembre 2015

Il concetto matematico di cui non potrei fare a meno: piano cartesiano

Lasciamo perdere l’aneddoto leggendario della mosca sul soffitto, e anche se davvero fu Cartesio il primo a immaginare un sistema di assi ortogonali orientati che, in pratica, assegna a ogni punto del piano un indirizzo dove trovarlo. Di sicuro il piano cartesiano fu una grande idea, perché sposò la geometria e l’algebra e consentì di vedere e studiare quel tipo di relazione tra due variabili (tra gli elementi di due insiemi) che chiamiamo funzione, o, non a caso, mappa. Dico non a caso, perché l’idea di rappresentare graficamente punti, distanze, percorsi c’era già da molto tempo, e sappiamo tutti quanto sia più efficace vedere una carta geografica di un territorio piuttosto che sentirselo raccontare a parole. Mancava solo l’idea di mappare gli enti geometrici, le coniche e altre funzioni in modo che in ogni loro punto sia verificata un’equazione, e il sistema Oxy venne a soddisfare questo bisogno in modo rigoroso. Quei punti, quelle curve che vediamo sul piano, che vediamo incrociare gli assi o non toccarli mai, che vediamo salire e scendere, raggiungere massimi e minimi, proiettarsi verso l’infinito, oppure interrompersi, o convergere verso un punto o una retta, non sono poi fini a se stessi, ma possono rappresentare grandezze di ogni tipo e i fenomeni in cui sono coinvolte. Senza il sistema di assi ortogonali cartesiani lo studio e la rappresentazione dei fenomeni naturali sarebbero assai più complicati. E, lasciatemelo dire perché è un mio chiodo fisso, senza questi "disegni" sarebbe più difficile cogliere l'intrinseca bellezza della matematica.



sabato 17 ottobre 2015

Un atomo nell’universo

“Gli atomi entrano nel mio cervello, eseguono una danza, e se ne vanno; 
atomi sempre nuovi ripetono sempre la stessa danza, ricordando quella di ieri”.
(Richard Feynman, da “Che t’importa di cosa dice la gente?”, 1988) 


Ci sono le onde che si frangono
montagne di molecole
ciascuna stupidamente intenta ai fatti suoi
milioni di milioni, divise,
eppure formano spuma bianca, all'unisono.

Un'era dopo l'altra
prima che occhi potessero vederle
anno dopo anno
martellando fragorosamente la costa come ora.
Per chi, per cosa?
Su un pianeta morto
senza vita da ospitare.

Senza posa
torturate dall'energia
sprecata prodigiosamente dal Sole
riversata nello spazio.
Un microbo fa ruggire il mare.

Nelle profondità marine
tutte le molecole ripetono
la struttura l’una dell’altra
finché se ne formano di nuove e complesse.
Queste ne creano altre come se stesse
e una nuova danza ha inizio.

Crescendo in dimensioni e complessità
cose viventi
masse di atomi
DNA, proteine,
danzano una struttura ancor più intricata.

Fuori dalla culla
sulla terra emersa
eccolo in piedi:
atomi con la coscienza
materia con la curiosità.

Di fronte al mare
stupito dallo stupore: io
un universo di atomi
un atomo nell'universo.

Richard P. Feynman (1918-1988)


There are the rushing waves
mountains of molecules
each stupidly minding its own business
trillions apart
yet forming white surf in unison.

Ages on ages
before any eyes could see
year after year
thunderously pounding the shore as now.
For whom, for what?
On a dead planet
with no life to entertain.

Never at rest
tortured by energy
wasted prodigiously by the sun
poured into space.
A mite makes the sea roar.

Deep in the sea
all molecules repeat
the patterns of one another
till complex new ones are formed.
They make others like themselves
and a new dance starts.

Growing in size and complexity
living things
masses of atoms
DNA, protein
dancing a pattern ever more intricate.

Out of the cradle
onto dry land
here it is standing:
atoms with consciousness;
matter with curiosity.

Stands at the sea,
wonders at wondering: I
a universe of atoms
an atom in the universe.



martedì 6 ottobre 2015

Un conflitto tra matematici e storici della matematica

“Da quel che abbiamo detto, risulta manifesto anche questo: che compito del poeta è di dire non le cose accadute ma quelle che potrebbero accadere e le possibili secondo verosimiglianza e necessità. Ed infatti lo storico e il poeta non differiscono per il fatto di dire l’uno in prosa e l’altro in versi (giacché l’opera di Erodoto, se fosse posta in versi, non per questo sarebbe meno storia, in versi, di quanto non lo sia senza versi), ma differiscono in questo, che l’uno dice le cose accadute e l’altro quelle che potrebbero accadere. E perciò la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia, perché la poesia tratta piuttosto dell’universale, mentre la storia del particolare. L’universale poi è questo: quali specie di cose a quale specie di persona capiti di dire o di fare secondo verosimiglianza o necessità, al che mira la poesia pur ponendo nomi propri, mentre invece è particolare che cosa Alcibiade fece o che cosa patì”. (Aristotele, Poetica, libro IX). 

Quando Aristotele scriveva queste frasi, pensava a diverse e più ampie questioni che non il rapporto tra la matematica e la sua storia. Ciò nonostante, e forse senza sorpresa, le idee del grande filosofo sono utili anche per far luce in questo ambito più ristretto. 

Una connessione interessante tra la matematica e il brano di Aristotele è stata proposta negli anni '70 dal filosofo e storico della matematica israeliano di origine romena Sabetai Unguru, che ha sottolineato come la distinzione tra poesia e storia si ritrova anche quando si parla di storia della matematica. Le “cose accadute”, cioè il singolare, il peculiare, è l’oggetto della ricerca storica, e lo storico dovrebbe sforzarsi di capirlo e comunicarlo. Le “cose che potrebbero accadere”, in quanto “cosa più nobile e più filosofica della storia” non sono affare dello storico. Esse hanno invece a che fare, come la poesia, con le affermazioni di carattere generale, “secondo verosimiglianza o necessità”, cioè con le leggi matematiche.


Come la poesia, la matematica riguarda gli universali. Come la poesia, essa tenta di scoprire il comportamento di tale e tal tipo di ente universale in virtù del fatto che è ciò che è. Sia la poesia sia la matematica tentano di dire che cosa incarnano questi enti universali o di dire di loro che cosa è “possibile in quanto probabile o necessario”. Al contrario, la storia ha il compito meno entusiasmante di mostrare ciò che è accaduto realmente, non ciò che sarebbe potuto accadere. Solamente i dettagli noiosi e particolari di ciò che è davvero accaduto sono di interesse per la storia, e, mentre le idee universali possono indicare possibili direzioni di ricerca, esse non possono essere in alcun modo un sostituto dell’evidenza storica. 

Lo stesso Aristotele trovò necessario precisare che il confine tra l’approccio storico e quello poetico è piuttosto sfuggente. L’affinità tra matematica e poesia nel senso descritto sopra rende questa distinzione ancor più elusiva, come ha messo in luce l’analisi di Unguru. In effetti, nell’analisi della matematica del passato, i matematici si concentrano spesso sui concetti matematici, sulle regolarità o affinità sottostanti, con lo scopo di trarre conclusioni sulla relazione storica. L’affinità matematica nasce necessariamente dalle proprietà universali degli enti coinvolti e ciò è stato considerato suggerire un certo scenario storico che “avrebbe potuto essere”. Tuttavia, Unguru avverte, bisognerebbe essere molto cauti a non consentire a tali argomentazioni matematiche di portaci a confondere la verità storica (cioè le cose “come sono accadute”), che si può ricostruire solo attraverso la ricerca storica e i suoi metodi, con ciò che altro non è che un possibile scenario matematico. 

Il classico esempio di questo dibattito riguarda proprio una delle affermazioni storiche di Aristotele, e cioè che i Pitagorici scoprirono l’incommensurabilità tra la diagonale e il lato del quadrato. Il filosofo afferma che essi lo provarono per reductio ad absurdum

“Perché tutti coloro che fanno un ragionamento per assurdo deducono sillogisticamente ciò che è falso, e provano l’assunto originale quando qualcosa di impossibile risulta dall’ipotesi del suo contrario; ad esempio, la diagonale del quadrato è incommensurabile con il lato, perché i numeri dispari diventano uguali ai numeri pari, e si prova ipoteticamente l’incommensurabilità della diagonale in quanto risulta una falsità nel contraddirlo”. (Analitici primi, I, 23). 

Ora, guardando alla prova standard moderna della irrazionalità di √2, osserviamo che essa si accorda bene con la descrizione fornita da Aristotele, perché anch’essa si basa sull’assurdo che un numero assunto come dispari debba necessariamente essere pari. Questa affinità matematica è collegata al racconto di Aristotele (nell’approccio “poetico” della storia della matematica) con lo scopo di inferire la validità di un’affermazione puramente storica. Si desume perciò che i Pitagorici provarono l’incommensurabilità tra la diagonale e il lato del quadrato esattamente come oggi si prova che la √2 è un numero irrazionale, ma in realtà non sappiamo come fecero esattamente. Secondo Unguru, perciò, questa conclusione è sbagliata e incarna una visione storiografica totalmente erronea. 

Un terreno privilegiato dello scontro di Unguru con il mainstream della storiografia matematica degli anni ’60-’70 riguardava le conoscenze algebriche degli antichi greci, in particolare quelle di Euclide. Così ad esempio sosteneva C. Boyer nella sua History of Mathematics, 1968: 

“Si é talvolta sostenuto che i Greci non ebbero algebra, ma ciò è chiaramente falso. Essi avevano il Libro II degli Elementi, che è algebra geometrica e aveva lo stesso scopo della nostra algebra simbolica. Non ci può essere alcun dubbio che l’algebra moderna faciliti la manipolazione delle relazioni tra le grandezze. Ma è vero senza dubbio che un geometra greco esperto nei quattordici teoremi dell’algebra di Euclide era molto più a suo agio nell’applicare queste teoremi alla misurazione pratica di quanto lo siano i geometri esperti di oggi.” 

Secondo le linee guida fornite dalla distinzione aristotelica, nel 1975 Unguru richiamò l’attenzione sulla “necessità di riscrivere la storia della matematica greca”, sostenendo che “La storia della matematica è storia, non matematica”. (S. Unguru, On the need to rewrite the history of Greek mathematics, Archive for History of Exact Sciences 15, 1975/76). La tesi principale dell’articolo è che in Euclide si trova della geometria pura e semplice: i matematici greci non utilizzavano alcun apparato di algebra simbolica. 

Tentare di spiegare Euclide come fa Boyer, secondo Unguru, è pericolosamente sbagliato dal punto di vista storico, perché si utilizzano concetti moderni che sono una descrizione falsa di una comprensione della matematica completamente differente. Si tratta di un anacronismo concettuale, che presenta il passato in funzione del presente. Così continuava, con chiaro spirito polemico: 

“... La storia della matematica è stata sempre scritta dai matematici... che o hanno raggiunto l’età della pensione e cessato di essere produttivi nei loro campi oppure sono diventati in qualche modo professionalmente sterili... Il lettore può giudicare da solo che saggia decisione sia per un professionista incominciare a scrivere la storia della sua disciplina quando la sua sola vocazione risiede nella sua senilità professionale”. 

Ciò provocò immediatamente critiche e reazioni avverse, soprattutto da parte di un vecchio matematico di spicco come André Weil, che scrisse una lettera avvelenata all’editor di Archive for History of Exact Sciences per sostenere i colleghi, anch’essi anziani e storici della matematica, Bartel L. van der Waerden e Hans Freudenthal nella loro accusa a Unguru di aver “tradito” Euclide per aver negato che potesse conoscere l’algebra. Weil chiedeva chi fosse il responsabile di aver permesso la pubblicazione di un simile articolo polemico e volgare. E che stava succedendo alla qualità della rivista? Il matematico francese concludeva con un attacco personale “... è bene conoscere la matematica prima di interessarsi della sua storia”. 

In un articolo di replica pubblicato su Isis, Unguru replicava a van der Waerden e Freudenthal, riservando il suo commento su Weil a una nota finale a piè di pagina, in cui perfidamente utilizzava le parole della sorella di Weil, Simone, grande filosofa, scrittrice e mistica: 

“Riguardo a questa lettera [quella di Weil alla rivista], meno se ne parla è meglio è. Nell’adottare questa posizione sono guidato dalle parole di Simone Weil nel suo sensibile e penetrante saggio sull’Iliade: “La forza rende chiunque le è sottomesso pari a una cosa. Esercitata fino in fondo, fa dell’uomo una cosa nel senso più letterale del termine, perché lo rende cadavere. C’era qualcuno e, un istante dopo, non c’è più nessuno”. E “l’uomo che non indossa l’armatura della menzogna non può provare la forza senza essere da lei toccato nel profondo. La grazia può evitarlo senza corromperlo, ma non può risparmiarlo dalla ferita” 

In modo elegante, Unguru rinfacciava a Weil l’uso della forza dell’autorità. Uno tra gli argomenti principali sottostanti la reazione dei matematici alle idee di Unguru riguardava proprio il problema dell’autorità per ciò che riguarda la conoscenza matematica. Questa autorità sembrava ora contestata da un outsider che osava mettere in discussione l’idea che di storia della matematica potessero occuparsi solo i matematici. Weil ebbe modo di sostenere questa idea al Congresso dei Matematici che si tenne a Helsinki nel 1978, con una relazione intitolata “Storia della matematica: perché e come.” In realtà il tono dell’intervento sembrava maggiormente rispondere non al perché è al come, ma al “chi” dovesse occuparsi di storia della matematica. “Quanta conoscenza matematica bisogna possedere per occuparsi della storia della matematica?”, domandò retoricamente, e nella risposta, come ci attendeva, un ruolo importante era affidato all’autorità: 

“Non c’è alcun dubbio che uno scienziato può possedere o acquisire le qualità necessarie per fare un lavoro eccellente nella storia della sua disciplina; tanto maggiore è il suo talento come scienziato, tanto migliore è probabile che sia il suo lavoro storico”. 

Come membro fondatore del gruppo Bourbaki, Weil aveva prodotto non solo molte delle idee di base della matematica bourbakista, ma anche della storiografia del gruppo, essendo quest’ultima uno degli esempi più salienti di ciò è stata polemicamente definita “la strada reale al genere personale di storiografia” (Ivor Grattan-Guinness). Secondo Weil, la buona storia della matematica si fa basandosi principalmente su considerazioni puramente matematiche e perciò deve essere fatta esclusivamente dai matematici, preferibilmente dai più importanti ed esperti (e magari francesi...). 


Nel corso degli ultimi quarant'anni, il genere di storiografia proposta da Unguru si è andata affermando, soprattutto nel caso dell’algebra e della geometria nella matematica greca. La maggior parte degli appartenenti alle nuove generazioni di storici della matematica ha accettato le idee e la metodologia proposte da lui e evita accuratamente di utilizzare argomenti matematici per “spiegare” la storia della matematica. Possiamo ad esempio considerare il tentativo di Saccheri di dimostrare il V postulato di Euclide come precursore della scoperta delle geometrie sferica e iperbolica, ma non possiamo evitare di considerare che egli lavorava in un contesto completamente euclideo (era un “gesuita euclideo”).

Chi fa storia della matematica deve conoscere la matematica (come anche chi scrive narrativa sulla matematica), ma non necessariamente dev’essere un matematico di professione. Concludo con una domanda: e chi fa divulgazione della matematica quali competenze deve avere?

martedì 29 settembre 2015

Il poema algebrico di Ibn al-Yāsamīn

L’epoca più luminosa della dominazione araba in Occidente fu quella degli Almohadi (1146-1248), che vide l’unificazione in uno stato potente dell’Africa nord-occidentale e della parte meridionale della penisola iberica, al-Andalus. Durante questo periodo continuò la tradizione di studio del pensiero classico avviato in precedenza e fiorirono l’architettura, la filosofia (basti pensare alle figure di Averroé e dell’ebreo Mosé Maimonide) e la matematica, anche se ci sono giunte solo poche opere o commentari relativi a quattro autori: Abū ‘l-Qāsim al-Qurashī (m. 1184), Abu Bakr al-Hassar (attivo intorno al 1175), Ibn al-Yāsamīn (m. 1204) e Ibn Mun’im al-Abdari (m. 1228).


Interessante è soprattutto il terzo di questi matematici, Ibn al-Yāsamīn, che nacque probabilmente a Fes, in Marocco. Secondo i suoi biografi, sua madre, che di nome faceva Yāsamīn (fiore di gelsomino) era nera (tratto che egli ereditò) e suo padre era un berbero. Versato in molte discipline, si affermò inizialmente come giurista e documentalista, poi come matematico (logica, geometria, astronomia, astrologia e soprattutto aritmetica e calcolo), essendo pure un poeta di talento. Si sa che visse per un certo periodo a Siviglia, dove probabilmente si perfezionò in matematica, e poi tornò nel Maghreb stabilendosi a Marrakesh, capitale della parte africana dell’impero degli Almohadi, dove morì nel 1204, assassinato sulla porta di casa. 

Le fonti contemporanee nulla dicono riguardo a un’opera in prosa di Ibn al-Yāsamīn, intitolata Talqīh al-afkār bi rushūm hurūf al-ghubār (“Fecondazione degli spiriti con i simboli delle cifre di polvere”, dove queste ultime sono le antenate di quelle che oggi chiamiamo cifre arabe), riscoperta solo nel secolo scorso. Quest’opera, consistente di più di 200 fogli, nelle intenzioni dell’autore, era concepita come un manuale per principianti, in cui era riunito l’essenziale di ciò che si doveva sapere dell’aritmetica degli interi, delle frazioni e delle radici quadrate. Secondo la prassi medievale, erano presentati diversi problemi di cui si forniva la soluzione con diversi metodi: numerici, doppia falsa posizione, algebrici. C’era anche un capitolo sulla geometria, in particolare sul calcolo delle aree. La sua importanza risiede sia nella natura degli argomenti trattati sia in quella degli strumenti matematici utilizzati.

La fama di Ibn al-Yāsamīn è però legata a un breve poema didattico di 54 versi, intitolato Urjūza fī l-jabr wa l-muqābala (Poema sul completamento e il bilanciamento), che ebbe larga diffusione sia in Occidente che nell’Oriente musulmano. Il biografo Ibn al-Abbār dice che, intorno al 1190-91, egli lo recitò, insegnò e commentò per qualche tempo prima di traferirsi a Marrakesh. Fu probabilmente il successo di quest’opera che lo incoraggiò a scriverne un altro di 55 versi sulle radici quadrate, e un terzo di soli 8 versi nel quale esponeva un metodo di doppia falsa posizione (regula falsi) per determinare grandezze proporzionali. Purtroppo queste opere non ci sono giunte e le fonti sono scarse. 

I poemi didattici facevano parte di un nuovo genere di manuali, i mukhtaṣarāt (compendi), che potevano essere anche in prosa. Si trattava di testi molto concisi, che condensavano delle conoscenze in frasi facili da tenere a mente, contenenti la terminologia e le regole utili. Il loro scopo iniziale era di aiutare gli studenti alla fine di un particolare corso di studi a ricordare termini e regole da usare direttamente per la risoluzione dei problemi. In seguito, al pubblico degli specialisti si aggiunse quello degli intellettuali in genere, desiderosi di apprendere in modo rapido i rudimenti di una disciplina, al punto che essi divennero più diffusi delle opere più dettagliate e tecniche. Un ruolo fondamentale era affidato all’apprendimento a memoria, in cui la comprensione era spesso assente e che richiedeva spiegazioni più dettagliate. Di esse si occupavano gli insegnanti che, dopo aver fatto recitare un passo del testo, lo spiegavano in lunghi commentari. L’importanza di questi compendi incominciò a essere contestata alla fine del ‘400, quando lo storico magrebino Ibn Khaldūn li giudicò pericolosi per una sana pedagogia utile a un reale apprendimento. 

L’urjūza di Ibn al-Yāsamīn è organizzato secondo uno schema piuttosto comune: dopo le preghiere e i ringraziamenti, il poeta matematico introduce dapprima la terminologia algebrica, seguita dagli algoritmi di risoluzione delle equazioni canoniche, dalle regole di calcolo delle espressioni algebriche e infine da una preghiera conclusiva. 

Il poema si colloca in una tradizione algebrica araba consolidata. L’autore non cita alcun predecessore, ma, nel Talqīḥ al-afkār segnala che egli non si è dilungato sugli irrazionali perché questa parte è sviluppata ampiamente nei libri di algebra, segno che i testi algebrici dell’oriente musulmano erano conosciuti nell’al-Andalus

Si conoscono oggi almeno 13 commentari al testo di Ibn al-Yāsamīn, dei quali molti sono stati pubblicati. In un commentario molto elaborato è arricchito dagli apporti di algebristi arabi orientali e occidentali, Ibn al-Hā’im constata che l’urjūza, imparato a memoria, necessita di spiegazioni e illustrazioni dettagliate. In effetti la trattazione è molto concisa, ed è evidente che si propone più come strumento di ripasso per chi è già informato della materia che come opera di divulgazione per i non addetti. Il poema ha continuato a essere insegnato fino al XVII secolo al Cairo ed è stato commentato fino al 1863.


Traduzione e spiegazione del Urjūza fī l-jabr wa l-muqābala 

 Nel prologo, al-Yasamin ringrazia e nomina il suo maestro, presso il quale aveva studiato a Siviglia, e chiarisce lo scopo dell’opera, vale a dire fornire un compendio dell'algebra in versi rajaz. Il metro rajaz della poesia araba consiste di versi composti da 24 sillabe, divisi in due emistichi di 12, con una cesura a metà. I due emistichi rimano tra loro. Ogni emistichio contiene tre piedi simili, di quattro sillabe ciascuno. La terza sillaba non è accentata, le altre sì: “dum-dum-di-dum”. Nella metrica classica corrisponde all’epitrito terzo.

1. Sia lode a Dio per tutto ciò che ha ispirato / e offerto come insegnamenti e spiegazioni. / 
2. Che le molteplici benedizioni di Dio siano accordate eternamente al Profeta Maometto. / 
3. I miei ringraziamenti (vadano) al brillante, intelligente ed erudito / Muhammad Ibn Qāsim nostro maestro. / 
4. Egli ha chiarito ciò che poneva un problema, / e reso comprensibili e facili le sconcertanti sottigliezze. / 
5. Che Dio lo ricompensi per questo / e lo retribuisca nell’Aldilà. / 
6. Incaricato da colui che ha bisogno d’essere aiutato, / e da chi non vedo alcun modo di contrariare, / 7. Di chiarire l’algebra con una presentazione / sotto forma di qualche frase in versi, / 
8. Disposte in versi rajaz, / dai ricchi significati e i termini concisi. / 
9. Per quanto non abbia mai smesso di cercare di evitarlo, / non ho potuto far altro che mettermi all’opera; / 
10. (L’ho recitato, scusandomi, / perché il lettore perdoni ogni mancanza). / 


La terminologia algebrica illustrata nei quattro versi successivi è la stessa già utilizzata da al-Khwârizmî nel IX secolo, e che ritroveremo in Occidente presso Fibonacci e in tutto il periodo della cosiddetta “algebra retorica”. Al-jidhr (la radice) è l’incognita x, al-māl (il bene) è il quadrato dell’incognita, x2, e al-cadad al-muṭlaq (il numero assoluto) è la costante, che non dipende né dall’incognita né dal suo quadrato. Ibn al-Yāsamīn precisa che al-jidhr (la radice) e al-shay’ (l’incognita, la cosa) sono sinonimi. La parola kaab (il cubo), cioè la terza potenza dell’incognita, x3, è utilizzata solo al verso 46.

11. L’algebra si fonda su tre (specie): i beni (quadrati), i numeri, poi le radici (cose) / 
12. Il bene è ogni numero al quadrato, / e la sua radice uno dei suoi lati. / 
13. Il numero assoluto non ha alcun rapporto / con il quadrato e la radice. Comprendi ciò e giungi (alla meta). / 
14. Cosa e radice sono sinonimi, / esattamente come padre e genitore. /

Il nucleo centrale del poema illustra le sei equazioni canoniche. All'inizio della sua opera al-Khwārizmī distingueva sei tipi canonici o normali di equazione, che egli presentava come nello schema riportato sotto, che corrisponde, in notazioni moderne, alle equazioni in cui a, b, c indicano numeri interi positivi:

I. I quadrati sono uguali alle radici:                                  ax2 = bx 
II. I quadrati sono uguali a un numero:                            ax2 =
III. Le radici sono uguali a un numero:                            ax = c
IV. I quadrati e le radici sono uguali a un numero:          ax2+bx = c
V. I quadrati e i numeri sono uguali alle radici:               ax2+c = bx
VI. Le radici e i numeri sono uguali ai quadrati:              bx+c = ax2

Anche Ibn al-Yāsamīn distingue sei tipi di equazioni, distinte in due categorie: le tre equazioni semplici (cioè un monomio uguale a un monomio, vv. 17-22) e le tre equazioni composte (un binomio uguale a un monomio, vv. 23-39). Gli algoritmi di risoluzione di tutti i tipi di equazioni (semplici o composte) sono quelli di al-Khwārizmī, ma, mentre il matematico persiano utilizzava degli esempi numerici, Ibn al-Yāsamīn, come al-Karājī, descrive la procedura in termini generali.

15. Certe (specie) uguagliano un numero, / composto da altri, o isolato. / 
16. Ne risultano sei (tipi di equazioni), di cui la metà è composta / e (l’altra) metà è semplice, (tutte) ordinate. / 
17. Secondo l’uso corrente, il primo (tipo di equazioni) corrisponde a / dei beni (quadrati) che eguagliano delle radici. / 
18. E quando uguagliano dei numeri, / è (il tipo di equazioni) che segue. Comprendi ciò che stai cercando. / 
19. E poiché tu uguagli un numero a delle radici, / tu ottieni il tipo seguente, secondo ciò che è stato stabilito. / 
20. Dividi per i beni, se esistono; / ma, se sono assenti, dividi per le radici. / 
21. Sono quelle le equazioni semplici; / la loro soluzione è una radice, tranne che per l’equazione intermedia. / 
22. In questo caso, la soluzione è un bene, / e ciò tenuto conto della natura del problema. / 

Le risoluzioni delle equazioni semplici di cui ai vv. 20-22 sono:




23. Sappi, con la guida di Dio, che il numero / è isolato nella prima equazione composta. /
24. E, ugualmente, nel secondo tipo (di equazione), hanno lasciate sole le radici / e isolati i beni nel tipo che segue. /
25. Eleva al quadrato la metà delle cose, / e, con attenzione, aggiungi il risultato ai numeri. /
26. Della somma ottenuta, estraine la radice, / poi, sottraine la (detta) metà. Il suo segreto è così svelato. /
27. Il resto (della sottrazione) è la radice del bene. / questo è il quarto tipo (di equazione). /

La risoluzione del primo tipo di equazione composta (ax2+bx = c, vv. 25-27) è:


28. Dell’altra, dal quadrato sottrai il numero. / La radice del resto sarà utile in seguito. /  
29. Tagliala della metà delle sue radici. / Ma puoi anche scegliere di sommarla. / 
30. In un caso è la radice d’un bene per difetto, / e, nell’altro, la radice d’un bene per eccesso. / 
31. Se il quadrato è uguale al numero, / allora la metà (delle radici) senza diminuzione è la sua radice. 
32. E se esso è superato dal numero, / ti renderai conto che non c’è soluzione. / 

La risoluzione del secondo tipo di equazione composta (ax2 +cbx, vv. 28-32) è:


Se (b/2)2 > c (vv. 29-30) ci sono due soluzioni:
radice per difetto
radice per eccesso

Se (b/2) 2 = c (v. 31), la soluzione è:
Se (b/2) 2 < c (v. 32), l’equazione non ha soluzioni. 

33. Siccome abbiamo terminato la risoluzione del quinto tipo, / spieghiamo la soluzione del sesto. / 34. Ai tuoi numeri, aggiungi il quadrato, / e di tutta la loro somma, estrai la radice. / 
35. Al risultato ottenuto, aggiungi la metà (delle radici): / ottieni la radice che cerchi. / 

La risoluzione del terzo tipo di equazione composta (bx+c = ax2, vv. 34-35) è:


Quando affronta la normalizzazione delle equazioni quadratiche, ad esempio il passaggio dall’equazione ax2 +bx=c all’equazione x2+b’x=c’, Ibn al-Yāsamīn propone due metodi, il primo dei quali utilizza la divisione per il numero dei beni, mentre il secondo utilizza il concetto di radice ausiliaria. I versi 36-37 sono dedicati alla normalizzazione classica. Un numero sconosciuto è in eccesso se il suo coefficiente è maggiore di 1; la frazione è incompleta se è minore di 1 (propria). Per portare il numero in eccesso all’unità si dividono tutti i membri delle equazione per il coefficiente di x2

ax2 +bx= →  x2 +bx/a = c/a    

quando≠ 1.

36. Riduci i beni in eccesso / e restaura le sue frazioni incomplete, / 
37. Per ricondurre tutti (i beni) a un bene unico, /e tieni conto di quest’ultimo nei calcoli rimanenti. /

Il metodo della radice ausiliaria, esposto nei versi 38-39, consiste nel moltiplicare il coefficiente a per il coefficiente c, ottenendo ca. Si cerca poi la radice (positiva) X0 dell’equazione ausiliaria X2 +bX = ca, designata come nadhīr al-jidhr (radice ausiliaria). La radice cercata xo si ottiene dividendo X0 per a, cioè x0 = X0/a

38. Oppure, moltiplica i beni per i numeri / e procedi, come in precedenza, / 
39. Dividendo la radice ausiliaria ottenuta / per il numero dei beni. Ne risulta la tua soluzione. / 



I versi 40 e 41 sono dedicati alle due operazioni di completamento e bilanciamento, quelle che hanno dato il titolo alla classica opera di al-Khwārizmī e anche a questo poema. Al-jabr (il completamento) in termini moderni designa l’operazione di eliminare le quantità negative che compaiono in uno dei membri dell’equazione aggiungendo l’opposto a entrambi i membri, mentre al-muqābala (il bilanciamento) è l’operazione di riduzione dei termini simili dello stesso grado. 

40. Ogni volta che introduci una sottrazione in un problema, / rendila abbondante nell’altro membro dell’uguaglianza; / 
41. Terminato il completamento, confronta / sottraendo ciascuna specie dal suo simile. / 

Dodici versi (vv. 42-53) sono infine riservati all’introduzione di vari termini dell’aritmetica delle incognite: le posizioni, il rango, il genere e la specie. La brevità del testo non consente al poeta di fornire delle definizioni formali: egli indica soltanto il contesto in cui il termine compare. Ad esempio, i termini genere e specie significano, in termini moderni, che due monomi, come axn e bxn, hanno la stessa incognita e lo stesso grado. 

42. Infine mi accingo a discutere delle posizioni, / in modo conciso, ma globale. / 
43. La radice viene per prima, seguita dal bene. / segue il cubo, che è autonomo. / 
44. A partire dai precedenti, si organizzano allo stesso modo / (le posizioni), qualsiasi sia il loro rango, e indefinitamente. / 

Riguardo alle posizioni, la radice è al primo posto, il bene (quadrato) al secondo, il cubo al terzo è così via. Si tratta quindi del grado del monomio.

45. Nelle moltiplicazioni, considera le posizioni (dei fattori), / tu conoscerai così il rango del loro prodotto. / 
46. (Segna) tre per ogni cubo ripetuto, / e due per il quadrato ogni volta che capita. / 
47. (E per ciascuna radice, conta precisamente uno. / i numeri non hanno alcun rango conosciuto). / 
48. Se moltiplichi un numero per una specie, / il risultato è, senza dubbio, quella stessa specie. / 
49. Nella divisione di due specie (dello stesso rango), / il quoziente è un numero, senza smentita. / 
50. Nella divisione di una specie per una di rango inferiore, / il quoziente si ottiene per differenza dei due ranghi. / 
51. (Per rango) voglio dire la sua posizione. / Il risultato della divisione (per una specie di rango superiore) resta l’enunciato iniziale. / 

Il rango di una specie è il numero associato alla sua posizione, in termini moderni il suo esponente. Il rango della radice (x) è 1, quella del bene (x2) è 2, quella cubo (x3) è 3, quella del bene-bene è (x2 x2) è 4, quella del bene-cubo (x2 x3) è 5, quella del cubo-cubo (x3 x3) o del bene-bene-bene (x2 x2 x2) è 6, ecc., secondo le regole per il prodotto (o la divisione) di potenze con la stessa base. Un numero assoluto non ha rango, cioè ha rango 0. Il verso 51 significa che se si vuole dividere ad esempio un quadrato per un cubo, il risultato si dirà “un quadrato diviso un cubo”, non essendo conosciuti gli esponenti negativi.

Nei versi 52-53 Ibn al-Yāsamīn espone la regola dei segni: se due quantità sono entrambe maggiori o minori di zero, il loro prodotto sarà positivo. Se invece sono di natura contraria (segni opposti), il risultato del prodotto sarà minore di zero.

52. La moltiplicazione del sovrabbondante o dell’incompleto / per un termine della stessa natura, appare sovrabbondante all’esaminatore. / 
53. La sua moltiplicazione per un termine di natura contraria è incompleta. / Capisci ciò. Che Dio ti guidi. / 

54. Infine, che le benedizioni di Dio e il suo saluto / siano sul Profeta così a lungo che l’oscurità si allontani. / 


Fonte principale: Mahdi Abdeljaouad, «Ibn al-Yāsamīn et son poème algébrique», Images des Mathématiques, CNRS, 2015

domenica 6 settembre 2015

Le curve ellittiche e il gruppo E(Q)

Le curve ellittiche non rappresentano delle ellissi, ma si chiamano così perché sono descritte da equazioni cubiche, simili a quelle usate un tempo per il calcolo dei perimetri delle ellissi e delle lunghezze delle orbite dei pianeti. Esse sono curve algebriche di grado 3 nel piano proiettivo (dove non esistono rette parallele) complesso (dove tutte le equazioni corrispondenti alle curve “sono accettabili” e le curve possiedono sempre dei punti). Infatti il piano proiettivo complesso è ottenuto completando il piano usuale (reale) con punti “all’infinito” e punti a coordinate complesse; esso contiene il piano usuale. Per le curve ellittiche l'insieme dei punti (x; y) soddisfa l'equazione f (x; y) = 0, più un punto O, detto “punto all'infinito" o punto zero.

Ogni curva ellittica può essere scritta come la curva algebrica piana definita da un’equazione la cui forma semplificata (forma normale di Weiestrass) è:

y2 = x3 + ax + b

La quantità Δ= 4a3 + 27b è la discriminante della equazione ellittica. Se Δ≠0 la curva ellittica ha 3 radici distinte (reali o complesse). Se Δ=0 la curva ellittica è singolare, cioè presenta punti di singolarità. Ebbene, la curva deve essere nonsingolare, cioè non deve avere cuspidi o nodi (in ogni punto deve essere definita in modo univoco la sua tangente). Il numero delle radici determina la forma della curva, che comunque è sempre simmetrica rispetto all’asse x

Vediamo qualche esempio: Per y2 = x3x(Δ= –4), con 3 radici, si avrà:


Per y2 = x3 + x + 1; (Δ= +31), con una radice, si avrà:


Per y2 = x3; (Δ=0) si ottiene una “parabola cuspidata di Newton”, con una singolarità (cuspide), in cui non esistono tangenti: non è una curva ellittica nonsingolare.



Nel piano (proiettivo) ogni retta interseca la cubica in tre punti, contati con “molteplicità” (la secante ha in comune con la curva tre punti distinti; la tangente ha due punti per la tangenza più un terzo punto; la tangente in un punto di flesso ha tre punti coincidenti). 

L’interesse per le curve ellittiche nacque nel 1901, quando Henri Poincarè dimostrò che ad ogni curva ellittica è associato un particolare gruppo. Gli elementi del gruppo sono i punti della curva che hanno per coordinate dei numeri razionali. Indichiamo con E(Q) l’insieme della curva i cui elementi (x,y)∈ Q, ai quali dobbiamo aggiungere il punto all’infinito che giace su tutte le rette verticali. Affinché E(Q) sia un gruppo è necessario definire un operazione somma. 

In effetti è possibile addizionare i punti della curva ellittica come si fa per i numeri interi. Scegliamo due punti P e Q sulla curva e tracciamo la retta che passa per entrambi. Essa interseca la curva in un terzo punto R. Tracciamo ora la retta che passa per R e il punto O posto all’infinito. Questa seconda retta individua il punto R’, che è la somma di P+Q. E’ chiaro che P+Q=Q+P (vale la proprietà commutativa dell’addizione).


Se P≡Q, tracciamo la tangente nel punto, che incontra la curva nel punto R. Come fatto in precedenza, tracciamo poi la retta verticale che passa per R e il punto O posto all’infinito. Questa seconda retta individua il punto R’, che è la somma di P+P, perciò R’=2P.


Se si somma P a Q=(–P), la retta che li congiunge è perpendicolare all’asse, quindi “manda” al punto O, che è la somma. Si ottiene R’=P+(–P)=O.


Avendo definito l’addizione, possiamo dire che (E(Q),+) è un gruppo abeliano.

Le curve ellittiche sono molto importanti in crittografia e soprattutto nella teoria dei numeri, dove costituiscono uno dei campi privilegiati della ricerca attuale. Esse furono utilizzate da Andrew Wiles per la dimostrazione del cosiddetto “ultimo teorema di Fermat”, di cui è meglio parlare un’altra volta, perché non può essere contenuta nel margine troppo stretto di questa pagina.

venerdì 4 settembre 2015

Una sequenza che inganna

Disegniamo n punti su una circonferenza, in modo che, tracciando tutte le corde che collegano ogni coppia di punti, non ci siano all’interno punti comuni a più di due corde. In quante regioni viene suddiviso il cerchio? Vediamo. 

Per n=1 si ottiene una sola regione: 


Per n=2 si ottengono r= 2 regioni: 


Per n=3 si ottengono r= 4 regioni: 













Per n=4 si ottengono r= 8 regioni: 


Per n=5 si ottengono r=16 regioni: 


Capito come funziona? Sicuri? Perché se, avete ricavato che n punti danno luogo a r = 2n-1 regioni, avete sbagliato! 

Proviamo per n=6 e contiamo quante sono le regioni: sono 31, non 32! 


L’ipotesi che la relazione sia r = 2n-1 è da scartare. In realtà la spiegazione corretta, di questo che è noto come problema del cerchio di Moser, è un pochino più raffinata: r è la somma dei primi 5 termini della riga n del triangolo di Tartaglia dei coefficienti binomiali.


I valori di r costituiscono la serie OEIS A000127

Formalmente il numero delle regioni r si calcola con la relazione: 


dove  è il coefficiente binomiale. 

Questo problema ha un grande valore didattico, perché mostra come prove limitate (magari anche con l’ausilio della potenza di calcolo dei computer) possano portare a risultati non corretti. Ecco perché in matematica si cerca sempre di trovare un prova generale di ogni teorema.

venerdì 14 agosto 2015

Carnevale della Matematica n. 88


Benvenuti al Carnevale ferragostano, che si colloca in un periodo di meritate vacanze e, quest’estate, anche di caldo insopportabile, il che avrebbe potuto diminuire la prolificità dei contributori. Invece no! Anche questa edizione è ricca e succosa, come un frutto di stagione! 

Secondo tradizione, andiamo prima a vedere quali sono le caratteristiche del numero che celebriamo, l’88 (di sfuggita faccio notare che tra un anno esatto il Carnevale celebrerà la sua edizione n. 100, un traguardo prestigioso per il Carnevale scientifico più antico nel nostro paese). 

Il numero 88 si fattorizza come 2³ x 11, che, nella Poesia Gaussiana, corrisponde al verso “canta, canta, canta all’alba”. Dioniso, prezioso come al solito, ci fornisce la cellula melodica:

 

I suoi divisori sono 1, 2, 4, 8, 11, 22, 44, 88: sono otto, quindi si tratta di un numero rifattorizzabile o numero tau, perché è divisibile per il numero dei suoi divisori. La somma dei suoi divisori propri è 92: si tratta di un numero abbondante. Il nostro 88 è anche un numero semiperfetto e intoccabile, in quanto non è la somma dei divisori propri di alcun altro numero. Si tratta anche di un numero poligonale, più precisamente di un numero esadecagonale: rappresentando le sue unità come pallini, questi possono essere disposti a formare un poligono regolare con sedici lati. Come scoprì il vecchio Eulero, l’88 è un numero idoneo, che non può essere espresso nella forma ab + bc + ac, dove a, b e c sono interi positivi distinti.

Essendo formato da due cifre identiche, nella notazione decimale è un numero palindromo e un repdigit, cioè un numero a cifra ripetuta. 

Fuori dalla matematica, in chimica l’88 è il numero atomico del radio (Ra), in astronomia è il numero delle costellazioni riconosciute dall’Unione Astronomica Internazionale. 88 sono anche i tasti del pianoforte. In una coppia di display a sette segmenti, l’88 compare quando tutti sono accesi. 

Il suo significato simbolico è fortemente ambiguo. Poiché la lettera H è l’ottava dell’alfabeto, per i neonazisti l’88 corrisponde a HH, che sono le iniziali del saluto “Heil Hitler”. Per fortuna, nelle culture orientali l’88 è un numero di buon auspicio. Presso i cinesi l’8 è il numero più propizio, e non è casuale che le Olimpiadi di Pechino si siano aperte l’8/8/08 alle 8 della sera. Sempre in Cina, 88 viene usato per dire bye bye negli SMS e nelle chat, in quanto in mandarino si pronuncia bā ba, che è abbastanza simile come suono. Per motivi diversi, ma convergenti, presso i radioamatori di tutto il mondo, l’88 conclude le comunicazioni tra amici in quanto vuol dire “Saluti e baci”. 


Questa edizione, data la sua collocazione stagionale, non ha un tema specifico. Si tratta di un Carnevale dai mille spunti e dalle mille sfaccettature. Passiamo in rassegna i contributi giunti.

Annalisa Santi è in vacanza in montagna, all’Aprica, e una bella escursione e la toponomastica gli hanno suggerito un dialogo inquietante con uno dei demoni più noti della mitologia, della letteratura e della televisione. La conversazione su certi numeri particolari, tra i quali il 666, è diventata l’articolo Belfagor e Annalisa........un dialogo surreale!, pubblicato sul blog Matetango.


Dal meritorio sito di divulgazione MaddMaths!, Roberto Natalini segnala i seguenti articoli:

Per Giovani Matematici Crescono, Maya Briani ha intervistato Elisabetta Rocca, che lavora al Weierstrass Institute for Applied Analysis and Stochastics (WIAS) di Berlino ed è professore associato in analisi matematica presso il Dipartimento di Matematica dell'Università di Milano. Elisabetta si occupa in particolare dello studio di sistemi di equazioni alle derivate parziali e delle loro applicazioni all’ingegneria, alla fisica e, più di recente, alla biologia. Ecco il link: Elisabetta Rocca: "al bivio tra le applicazioni e la matematica"

Nella rubrica Madd-Spot, curata da Emiliano Cristiani, troviamo Madd-Spot #3, 2015 - Forme ottimali in acustica, in cui si parla di chitarre acustiche. Eugenio Montefusco e Dimitri Mugnai ci spiegano come un buon modello fisico è la strada giusta per progettare strumenti dalle ottime sonorità. 

Per Alfabeto della Matematica, M come Multiscala, di Corrado Mascia, si occupa del lavoro con ordini di grandezza diversi. Talvolta un sistema di equazioni genera vertigini per via delle scale (temporali e spaziali, più che musicali) che si intrecciano e si rilanciano reciprocamente. Trascurare alcuni effetti è possibile, ma con troppe approssimazioni si corre il rischio di operare con un modello semplificato, che di scala ne ha una sola e più nessun rapporto con il reale. Occorre dunque cercare di preservare le scale, mescolate l'una con l'altra, e, tutt'al più, liberarsi di una scala corta, mantenendo memoria del suo contributo cumulativo in un intervallo di tempo sufficientemente lungo. 

Si sono appena conclusi a Kazan, in Russia, i mondiali di nuoto, che hanno dato grandi soddisfazioni ai colori italiani (e senza dubbio quella città avrà ricordato a tutti il nome di Nikolaj Lobačevskij). Un mese fa altre soddisfazioni sono giunte da Chiang Mai, in Thailandia, dove si sono svolte le 56-sime Olimpiadi Internazionali di Matematica (IMO), la più importante competizione matematica al mondo per studenti delle scuole superiori di secondo grado, cui quest'anno hanno partecipato 577 concorrenti provenienti da 104 nazioni. Ebbene, Amedeo Bianchi ci informa in Un oro e due argenti per l'Italia alle IMO della bravura dei nostri ragazzi. 

Gli ultimi due contributi di MaddMaths! sono una dimostrazione ulteriore dell’universalità dei campi applicativi della matematica.

C'è una branca della matematica chiamata "Topologia persistente" che ha applicazioni spesso sorprendenti all'analisi della forma e ai problemi di classificazione e recupero dei dati. In L'incredibile ubiquità della topologia persistente ci spiega  di che cosa si tratta Massimo Ferri, uno degli iniziatori di questa teoria.

Verso la fine degli anni Sessanta una particolare specie di bambù, Phyllostachys bambusoides, fiorì improvvisamente ovunque, nello stesso momento. Le foreste di questa pianta sbocciarono tutte insieme, in diverse parti del mondo, in perfetta sincronia anche quando erano separate da migliaia di chilometri. Questo comportamento è ora spiegato da un modello matematico. La matematica del bambù, curato da Alice Sepe, ci parla delle curiose relazioni tra i lunghi cicli di fioritura di queste piante.


Un blog collettivo, giovane e entusiasta, è Math is in the Air. Davide Passaro ha inviato i link di cinque articoli:

Suggerimenti di Letture Matematiche Estive: la divulgazione sotto l'ombrellone vi sarà utile se dovete ancora scegliere un libro da leggere durante le ferie e se fate parte di quella “coda di gaussiana” che conserva imperterrita l’abitudine di leggere: lo staff di Math is in the Air propone una selezione di libri di divulgazione scientifica (matematica e fisica) tra grandi classici e novità editoriali. Ce n’è per tutti gusti. 

I mestieri dei matematici di Andrea Capozio ha lo scopo di far ricredere coloro che pensano che i possibili futuri lavori di uno studente di matematica siano molto pochi. Un sito americano ne elenca almeno 46, ma “i possibili impieghi della matematica aumenteranno nel tempo e sempre più sarà necessario affidarsi a profili altamente specializzati; addirittura, alcune teorie matematiche al momento non applicabili (perché non supportate adeguatamente dalla tecnologia o perché ritenute troppo astratte) potrebbero un giorno portare alla nascita di nuovi mestieri nemmeno concepibili fino ad oggi”

Se vi piace vedere le cose da una prospettiva diversa, seguite il volo della mosca che racconta in prima persona di un bambino di nome René e del suo ruolo nella matematica. L'articolo La mosca di Renè: il piano cartesiano, di Fabrizio Calimera, è la prima puntata di una serie da seguire. 

Nunzia Marotta ci introduce nella meccanica quantistica con l’articolo La creazione passa per la distruzione... delle certezze: Meccanica Quantistica e Matematica. Dal modello atomico al dualismo onda-particella, dall’equazione di Schrödinger al principio di indeterminazione di Heisenberg, la matematica ci aiuta a capire che nell’estremamente piccolo non si può parlare di certezze, ma di modelli e interpretazioni. 

Infine, Fabrizio Bonesi, nel post dal titolo autoreferenziale e paradossale Questo post non parla di serie numeriche, ci parla dei paradossi di Zenone e delle serie numeriche, in cui spesso una serie infinita di addendi ha la proprietà di dare un risultato finito.


Parliamo ora del contributo di una vecchia volpe, scrittore e divulgatore originale, che questa volta, in Fragole +1, ha matematizzato una passeggiata in montagna con i bambini alla ricerca di fragole, proponendo un serissimo teorema. Avrete capito che sto parlando di Spartaco Mencaroni e del suo blog Il coniglio mannaro.

E che cosa succede da Gli studenti di oggi? Succede che Roberto Zanasi continua (e finisce) la serie Di altalene, molle e vasche da bagno dedicata ai fenomeni oscillatori: dopo aver parlato di attriti e oscillazioni, in questi due articoli prosegue il dialogo parlando di Oscillazioni forzate e Risonanza (e finalmente il bimbo dell’altalena entra nella vasca da bagno).


Pietro Vitelli, dal suo sito PVitelli.net di “cianfrusaglie infomatematiche e altre diavolerie”, ci segnala l’articolo La matematica dei Veda – Criteri di divisibilità. Vi si parla del testo Vedic Mathematics di Bharati Krishna Tirthaji, che contiene argomenti matematico-ricreativi legati all’aritmetica di base ed al calcolo numerico, che vanno da metodi di semplificazione delle 4 operazioni, ai criteri di divisibilità, al calcolo mentale, oltre ad artifici aritmetici vari. Pietro ha scelto la parte dedicata ai criteri di divisibilità e al metodo dell’osculazione.

Dallo specchio di Alice e il suo mondo alla rovescia, alla isomeria delle molecole, dalla trasformata di Fourier (del quale viene fornita anche una breve biografia), ai problemi di misura nella meccanica quantistica, in Attraverso lo specchio Mauro Merlotti di Zibaldone Scientifico ci fa vedere come l’analisi non differenziabile possa essere applicata al Principio di indeterminazione di Heisenberg (che non si applica a tutte le possibili coppie di osservabili). Articolo dalle molteplici suggestioni, compresa una citazione finale di Marilyn Monroe.


Immancabile, Maurizio Codogno ha segnalato gli articoli frutto della sua mensile attività di divagatore e matematto

Sulle Notiziole troviamo le recensioni di The Mind's Best Work (un po' fuori tema, ma la creatività in fin dei conti è matematica); Che cos'è il calcolo infinitesimale (uno dei vecchissimi libri della collana Zanichelli "Matematica moderna") e Crimes and Mathdemeanors (gialli matematici scritti da un sedicenne americano). 

Per i quizzini della domenica (con risposta il mercoledì): Risposta senza domanda e Cartoline, entrambi assai intriganti.

Il post di "povera matematica" Fahrenheit mostra come, quando si traduce dall'inglese, forse è meglio applicare un po' il cervello (e avere un po’ di rispetto per i lettori).

Anche Sandro Magister arruola Kurt Gödel è un post di “povera matematica”. Il noto vaticanista, a supporto delle sue tesi contrarie all’eventuale riammissione al sacramento dell’eucarestia dei divorziati risposati, tira in ballo a sproposito i teoremi di incompletezza. Ebbene, come non concordare con .mau. che commenta “Insomma, lasciate stare la matematica quando si parla di teologia, occhei?”

Sul Post sono comparsi invece una pillola, Battaglia navale, su un software che dice qual è la mossa migliore statisticamente parlando (che non necessariamente è la migliore in assoluto), e un post, I (non) marines che si suicidano, in cui si mostra che i dati, anche se reali, sono sempre da prendere con le molle e guardando il contesto. Cioccolatisti morigerati, infine, è un gioco per cui si può trovare una strategia vincente senza eccessiva fatica. Se si inizia con calma a provare i casi facili magari può venire un’idea della soluzione. Tentar non nuoce.   


Per i Rudi Matematici, questa volta è stata simpaticamente Alice Riddle a segnalare i contributi. 

Con (non troppo) Evidenti ragioni di Simmetria [2]: Battiscopa continua la serie sulla teoria dei Gruppi, con la premessa dei tre post intitolati “A che punto è la notte” comparsi in precedenza. La maratona si fa lunga. Commenta Alice “Anche se in tanti hanno già letto tutta la storia completa nel nostro più famoso libro, troviamo sempre nuovi interessati”

Il problemino classico del mese è ispirato dai Canterbury Tales di Chaucer e ripropone, nonostante i problemi di traduzione dall’inglese medievale, L'enigma del Cavaliere di Dudeney. Sullo scudo ornato da 87 rose si tratta di tracciare tutti i possibili “quadrati perfetti” aventi una rosa nel vertice. Le risposte giunte sono già molte e differenti. Come al solito, i Rudi sperano nella rissa. 

Il post di soluzione del problema pubblicato su Le Scienze si intitola Il problema di luglio (563) - Angoli da smussare: si tratta di un post un po’ atipico, che contiene la risposta alla domanda che si può così sintetizzare: dato un generico poligono regolare, volendo smussarne le punte angolose e sostituirle con archi di cerchio, come devono essere costruiti tali archi se si vuole massimizzare il rapporto area/perimetro? 

Enludopedia (accessibile dalle ore 7:00) è un gioco con le carte per niente classico, che si può praticare come solitario oppure con un avversario. Le varianti sono molte, e dipendono anche dal tipo di mazzo di carte utilizzato e dalle dimensione della “siringa”: come si vede, conviene far riferimento al glossario iniziale per capire le regole del gioco. 

Infine, i Rudi Mathematici (questa volta corredati di acca) comunicano di aver compiuto il loro miracolo mensile, che ad agosto è ancora più miracoloso del solito. Oramai più famoso di quello di San Gennaro, è infatti miracolosamente uscito il numero 199 della bimillenaria e-zine.


Annarita Ruberto segnala un grazioso e utilissimo contributo da Matem@ticamente: Dal Problema all'Espressione...il Senso È Stato TrovatoSi tratta di consigli didattici, in chiave un po' ironica, accompagnati da qualche esemplificazione, fornita dagli alunni.

Concludiamo la rassegna del Carnevale n. 88 con i contributi di Gianluigi Filippelli, comparsi su Dropsea

Cos'è lo spin semi-intero racconta lo spin dei fermioni (una grandezza fisica) utilizzando la teoria dei gruppi (una branca della matematica). Attenti a dire che lo spin è analogo alla rotazione di una pallina intorno al proprio asse! 

Paperino nel regno della matematica è “un post estivo” (cit.), con bonus sulle radici quadrate, in cui si esamina la versione a fumetti del cortometraggio Paperino nel mondo della Matemagica. L’insegnamento di questa storia, pubblicata in Italia nel 1960 su Topolino n. 233, è che “in matematica tutto è possibile!”

Non ci sono, come qualcuno avrà notato, post dal mio blog Popinga. Riferendomi a tutti i partecipanti, potrei dire con il Battista che “Egli deve crescere e io invece diminuire”, ma non sarei del tutto sincero. Preferisco piuttosto fare riferimento ai risultati di uno studio scientifico sul “blocco dello scrittore” di cui parlai a suo tempo. Sono mie invece le immagini, in cui mi sono divertito a mescolare grandi film e matematica. 


Il Carnevale termina qui. L’appuntamento con il prossimo è fissato per 14 settembre. Il n. 89 (“monello”) sarà ospitato dagli amici di Math is in the Air.